

tutti, tanto. Ed è impossibile non sorridere loro con tutto il cuore ogni volta
che lo fanno. Credo che questa sia stata la costante dei miei 5 mesi in India.
quella che per me era una terra lontana e sconosciuta? Non una, ma ben due
volte? Partirò dalla seconda, le motivazioni sono più facili: l’amore, in
primis, e la nostalgia di quei musetti. Ma la prima volta? Non avevo idea di
che cosa avrei incontrato lungo il mio cammino, non conoscevo né la cultura né
le usanze indiane, e per certi versi credo che questo mi abbia permesso di
pormi in ascolto in maniera del tutto neutra: una spugna impaziente di
assorbire la luce, i colori, i suoni e la grande bellezza dell’India, in
particolare di Shanti Nilayam. Sono partita con l’idea di mettere al servizio
la mia professione, con l’idea di donare il mio tempo e le mie energie a
bambine dagli occhi grandi e dalle disabilità enormi. Ma la verità è che
arrivando i ruoli si sono completamente ribaltati: si, è vero, ho insegnato e
preso in carico, sulla carta ho fatto la fisioterapista; ma ogni giorno ero io
ad imparare qualcosa di nuovo, ad avvicinarmi a qualcosa di sconosciuto e
talvolta incomprensibile. Non è stato facile, né la prima né la seconda volta,
ed è inutile nasconderlo. Non è facile rapportarsi con la distanza culturale,
con il significato della nostra professione in un luogo del genere, con la
religione che permea ogni attimo della giornata e ne determina il ritmo (Shanti
Nilayam è un convento dopotutto); ma non facile è una sfida che regala gioia
amplificata nel singolo piccolo risultato ottenuto con una bambina, non facile
è il sorriso e gli occhi che si fanno traboccanti d’amore davanti ad ogni
piccolo successo, non facile è stato imparare ad assecondare il tempo che
scorre lento, anziché sforzarsi di controllarlo.

questa: mettersi al servizio, donare te stesso, donare interi mesi della tua
vita a chi non avendo assolutamente nulla sa insegnare la felicità. È stato un
donare e un ricevere, una piccola altalena in ferro battuto dipinta di blu,
come quella che c’è nel cortile di Shanti Nilayam.
essere fisioterapista in India, ma qui voglio lasciare uno dei tanti piccoli
momenti in cui l’altalena blu ha donato a me: la sera dopocena, io, la mia
compagna d’India (Silvia e poi Flavia), un gruppo di bambine in veranda a
provare ad imparare il Telugu (la lingua locale) o l’Italiano, a pelare le
verdure, a cantare canzoni, e stringerci le mani, a spiegare cos’è la neve. L’india
per me è stata la felicità di un posto che vuol dire Casa della Pace.